Seleziona una pagina

A prescindere dall’edizione, il DSM presenta punti di forza e debolezza.


Un punto di forza del DSM è la possibilità, per gli psichiatri, gli psicologi e gli altri professionisti di area clinica, sanitaria o socio-sanitaria, di condividere lo stesso strumento e lo stesso linguaggio, confrontandosi tra loro e comunicando con chiarezza.

Inoltre, questo manuale ha ancorato la diagnosi a costrutti statistici come media, frequenza, moda, mediana, varianza, correlazione, sottraendola all’arbitrio dei singoli professionisti e conferendo, per quanto possibile, “oggettività” ad una dimensione, come quella psicologica, che storicamente è stata criticata dagli scienziati, poiché svalutata come ineffabile, non misurabile e non scientifica.

Tuttavia, questo manuale presenta anche punti di debolezza. La standardizzazione rischia, infatti, di omologare l’espressività di un disturbo, non considerando che il funzionamento complessivo può variare sia da persona a persona sia nella stessa persona, nel tempo o nei diversi contesti in cui è inserita.

L’approccio complementare a quello categoriale, che è basato su manuali diagnostici come il DSM-5, che attribuiscono importanza agli aspetti oggettivi, è quello dimensionale, basato sulle teorie psicologiche, che attribuiscono importanza agli aspetti soggettivi.

In realtà, lo stesso DSM-5, pur essendo fondamentalmente categoriale, è meno rigido rispetto alle precedenti edizioni, più aperto a una valutazione dimensionale e compatibile con un percorso psicodiagnostico flessibile.

Ciò perché attualmente gli scienziati e i clinici, a prescindere dall’approccio specifico a cui aderiscono, adottano il “paradigma della complessità”, che abbandona i nessi esplicativi lineari e causali per assumere una visuale ampia e integrata, dove i confini tra le patologie non sono né troppo rigidi, né troppo porosi, in quanto entrambe queste condizioni sono estremizzazioni difficilmente riscontrabili nella realtà.

L’apertura dell’attuale psichiatria verso la valutazione dimensionale è rilevabile nel DSM da alcuni cambiamenti rispetto alle precedenti edizioni.

Uno di questi è il concetto di “spettro”, che si applica, ad esempio, ai disturbi autistici e a quelli psicotici, ora racchiusi in un’unica categoria, data la diversa espressività con cui si presentano nei pazienti.

Nel DSM-5 il ritardo mentale è stato ridenominato “disabilità intellettiva” e nel DSM-5-TR “disturbo dello sviluppo intellettivo”, conferendo centralità non al QI, che è un’indicazione numerica fredda dell’intelligenza, ma al funzionamento adattivo.

Quest’ultimo è un costrutto qualitativo che valuta le autonomie e le competenze della persona, importanti ai fini del suo sviluppo e della sua inclusione sociale, più dell’intelligenza intesa astrattamente e misurata quantitativamente.

Un altro indicatore dell’apertura alla valutazione dimensionale dal DSM-5 è l’abbandono della suddivisione in assi, che isolava artificialmente componenti che nell’esperienza sono compresenti e commisti.

Infine, nel DSM vengono prese in considerazione le differenze di genere e cultura, che possono influenzare l’esordio e il decorso di un disturbo.


Tuttavia, per quanto queste novità possano ammorbidire la rigidità di un approccio sintomatologico e descrittivo, nel DSM, per sua natura, predomina la dimensione psichiatrica e categoriale.

The following two tabs change content below.
Sono Stella Di Giorgio, psicologa e tutor per studenti lavoratori di Psicologia e TFA. Scrivimi a tutor@110elode.net per aiuto tesi.