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Questo è un quadro dell’artista contemporaneo Lucio Fontana, esposto a Torino, valutato stramiliardi di milioni. Mi ha fatto riflettere su come gli studenti percepiscono i commissari di prove, esami e concorsi in psicologia. Ecco perché. 


Il quadro di Fontana, in pratica, è fatto di tagli sulla tela, direbbe l’inquilina del secondo piano, con la terza media.

Però, critici d’arte e sapienti di tutto l’universo, hanno scritto non so quante parole sui significati reconditi di questi quadri, stramiliardi di milioni di parole, di filosofeggiamenti, di cose super-profonde e complicate su cosa rappresentino questi tagli.

Nella mia ignoranza, non so se effettivamente questi tagli siano nati da tutte quelle elucubrazioni, oppure le elucubrazioni sono nate dopo, invenzioni autoreferenziali e un po’ deliranti pompate tra i critici.

Hanno pure calcolato inclinazione, distanza, vivisezionando ogni minimo elemento per dimostrare le elucubrazioni.

Mi sono sempre chiesta se il Fontana non stesse in realtà sghignazzando dietro tutte queste cose da cui, secondo i critici, sarebbero nate le sue opere d’arte (non discuto ovviamente del loro innegabile e inestimabile valore).

Magari per lui sono solo dei tagli sulla tela, in tutta la loro crudezza.

Ecco a volte ho un po’ la stessa sensazione riguardo alle tracce d’esame: a volte vengono prodotte delle interpretazioni molto avviluppate su cosa debba significare una parola, cosa intendono i prof con questo o quel termine.

O sulle intenzioni recondite dei commissari: “hanno scritto così, perché vogliono vedere se tu ragioni, se tu fai così, se tu fai cosà…vogliono valutare il senso critico…ecc” e tutte cose nobili e belle.

Insomma una “dietrologia” molto spinta, e soprattutto molto pura, che nobilita il commissario, visto come persona “saggissima” (archetipo jungiano del Senex) e guidata dai più elevati standard morali, dietro le tracce.

A volte però penso che siano solo tracce buttate là, nella loro crudezza, e anche superficialità, senza farsi troppe fisime, e senza chissà quale nobile e morale intento dietro.

A volte pure scopiazzando altre tracce, se non riproponendole, per pigrizia.

Chissà se sanno quanta dietrologia scatena ogni singola paola?

L’investimento ideologico-semantico del candidato che legge la traccia è pari a quello fatto dal commissario mentre scriveva la traccia?

Non è che si va oltre nelle interpretazioni, illazioni, “nobilitazioni”, ecc?

Non lo so, però a volte un taglio sulla tela è solo un taglio sulla tela e pure Freud, quando facevano profonde interpretazioni sul suo vizio di fumare, diceva: a volte un sigaro è solo un sigaro.

Talvolta le tracce, oltre a essere scritte in commissariese, presentano termini poco chiari, apparenti contraddizioni, procedimenti che non vengono specificati. Come cavarsela in questi casi?

È vero che in prove, esami e concorsi in psicologia spesso escono tracce strane, in cui non si capisce cosa vogliano.

Ad esempio, ci sono termini che non si capisce come li intendano, visto che possono essere intesi in mille modi.

Altre volte i termini o le intere tracce sono difficili da comprendere, risultano astrusi e inutilmente complessi.

Quando ci si esercita “a freddo”, leggendo la traccia, si impazzisce a capire la vera richiesta.

In tutti questi casi, nessun tutor, nessun corso, nessuno dei tanti materiali può affermare che un termine vada inteso in un modo o in un altro o che quel termine significhi questo o quest’altro in questa o quella sede.

Non è utile decontestualizzare o fare interpretazioni universali, sarebbero solo illazioni.

1) Ogni commissione è a sé

Non si può sapere cosa intende una commissione, perché è composta da più persone, ciascuna delle quali è diversa dall’altra per formazione, professione, personalità, ecc.

Due commissari non hanno neanche a che fare con l’università, perché sono professionisti presi dall’Albo (con determinati criteri, ad esempio essere stati tutor di tirocinio) e questi ultimi non sempre sono aggiornati sulla teoria, perché sono più immersi nella pratica.

Così come i membri universitari, d’altra parte, sono immersi più nella teoria che nella pratica, anche se non in tutta la teoria universale, ma solo in quella relativa al loro insegnamento.

Quindi è impossibile prevedere ciascuno di loro consa intenda. Se lo esplicitano, bene, altrimenti nessuno può dirlo, perché sarebbe come avere la presunzione di stare nella testa di ciascuno di loro.

2) La struttura delle tracce d’esame

Detto questo, bisogna partire da ciò che viene richiesto dai commissari.

La richiesta è sempre composta da: 1) traccia scritta e 2) contesto.

La traccia scritta aggiunge specifiche della commissione, che non sono generalizzabili a tutte le altre commissioni di quella sede.

Il contesto è quello che succede quel giorno in aula, il clima che si crea dopo la lettura della traccia e come la commissione gestisce domande o situazioni di quel momento.

A volte in questi casi succede che la classe si ribella, si crea confusione, e i prof aggiungono oralmente indicazioni e chiarimenti. In casi molto rari, è perfino capitato che suggerissero quali autori citare!

3) Esempio pratico

In una traccia uscita qualche anno fa veniva chiesto di parlare dell’ostracismo all’interno dei gruppi di lavoro che operano nelle organizzazioni pubbliche e private.

Proviamo a capire come si può fare in questi casi.

Intanto, far passare la comprensibile paura di fronte a questa parolaccia, “ostracismo”.

Che non ha senso, potevano dire la stessa cosa anche con altre parole, ma l’effetto Lucifero ogni tanto viene fuori.

Partiamo dal fatto che si parla di qualcosa che avviene in un gruppo, per cui si può partire con la teoria del gruppo.

Poi, ostracismo alla fine significa emarginazione, qualcuno che viene isolato, espulso da un gruppo, che non viene integrato o addirittura cacciato, aggredito.

Per cui va bene una teoria dell’aggressività, oppure una teoria su stereotipi, pregiudizi e atteggiamenti: i pregiudizi verso qualcuno portano a ostracizzare/isolare/emarginare quel qualcuno.

Oppure citare i fenomeni del gruppo; conformismo, perché chi non si conforma, viene ostracizzato; obbedienza distruttiva, perché se l’autorità stabilisce di ostracizzare/emarginare/ecc qualche categoria, tutti obbediscono, nessuno osa ribellarsi.

Effetto lucifero: simile all’obbedienza distruttiva, perché il leader del gruppo o alcuni membri possono ostracizzarne altri ad esempio quando ricevono un certo incarico, ad esempio in alcune aziende politicizzate, quando salgono al potere quelli del partito giallo, “epurano” i quelli del partito fucsia per far posto ai loro sostenitori, poi vanno al potere quelli del partito fucsia, che allontanano quelli del partito bianco, e così via.

Si tratta sempre di dinamiche tra ingroup e outgroup.

Per età evolutiva: teoria del bullismo. Per lavoro: mobbingleadership.

Intervento di prevenzione tra adulti: skill training. Per bambini: educazione socio-affettiva. Per lavoro: formazione psicosociale.


Quando ci sono termini strani, può essere utile pensare per archetipi. Nella maggior parte dei casi, tutto è riconducibile alle basi, è una variante di qualche blocco delle “basi”.

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Sono Stella Di Giorgio, psicologa e tutor per studenti lavoratori di Psicologia e TFA. Scrivimi a tutor@110elode.net per aiuto tesi.