Definizione
La metacognizione è un costrutto originariamente approfondito da Flavell (1971) negli anni Settanta, che ha distinto i processi cognitivi specifici, come la memoria, l’apprendimento, l’attenzione, ecc., dalla metacognizione, che è il supervisore di questi processi.
Teoria della metacognizione di Ashman e Conway (1991)
Dopo Flavell, le singole componenti della metacognizione sono state approfondite da diversi gruppi di studiosi e ricercatori anche italiani, come Cornoldi e il Gruppo MT di Padova, costituito da esperti dei processi di apprendimento. Tra i diversi studiosi, Ashman e Conway (1991) negli anni Novanta hanno proposto di scomporre la metacognizione in 4 componenti che poi potevano tradursi in quattro attività da svolgere in un percorso di sviluppo e potenziamento cognitivo, che sono: le conoscenze generali sul funzionamento cognitivo, le conoscenze individuali sul proprio funzionamento cognitivo, le strategie cognitive e le variabili psicologiche (come le emozioni, le motivazioni e le credenze) che influenzano il funzionamento cognitivo.
La prima componente della metacognizione riguarda le conoscenze sul funzionamento cognitivo generale, che consistono nelle informazioni sui meccanismi di memoria, apprendimento, attenzione, percezione, ecc. Vi sono, infatti, meccanismi di base, condivisi da tutti, ma in ciascuno si possono declinare diversamente. Infatti, la seconda componente della metacognizione è costituita dalla conoscenza dei propri meccanismi individuali. Ad esempio, l’attenzione è la focalizzazione su uno stimolo, escludendo altri stimoli distrattori. Tuttavia, vi sono persone che riescono a focalizzarsi meglio su stimoli visivi, altre su stimoli uditivi, altre su stimoli sociali. Quindi, per una prestazione cognitiva elevata, occorre conoscere sia il meccanismo generale che le proprie preferenze individuali.
La terza componente della metacognizione è costituita dalle strategie cognitive. Affinché la prestazione cognitiva sia elevata, secondo Ashman e Conway è opportuno possedere un ampio repertorio di strategie, per scegliere di volta in volta quella adatta e applicarla flessibilmente a un compito.
Infine, la quarta componente della metacognizione è costituita da varie dimensioni psicologiche, come le credenze sulla propria intelligenza, le motivazioni a compiere uno sforzo cognitivo, la percezione di autoefficacia, tutti aspetti che influiscono sul funzionamento cognitivo e che sono anch’essi caratterizzati da meccanismi generali e differenze individuali.
Ricerca
L’importanza del costrutto della metacognizione nel funzionamento cognitivo si è accresciuta anche da quando sono state compiute ricerche sull’efficacia dei progetti scolastici in cui veniva insegnato un metodo di studio. Queste ricerche sono state discusse anche da Cornoldi e dal Gruppo MT di Padova, all’interno dei testi che illustrano percorsi e schede di potenziamento metacognitivo, come quelli intitolati Imparare a studiare, e documentano l’inefficacia di approcci meccanici all’apprendimento e alla prestazione cognitiva.
Infatti, sin dagli anni Sessanta, per aiutare gli studenti a organizzare il loro studio, che spesso comprende grandi quantità di discipline anche differenti tra loro da assimilare in tempi veloci, sono stati elaborati alcuni “metodi di studio”, cioè procedure di apprendimento sia specifiche sia globali. Sono state dunque elaborate strategie per memorizzare alcune nozioni come date, nomi, parole straniere, oppure per prendere appunti durante la lezione, per leggere un testo traendone concetti e parole-chiave, per riassumere e schematizzare il materiale, per gestire l’ansia da interrogazione.
Il più noto metodo strutturato, di organizzazione globale dello studio, è stato elaborato da Robinson nel 1961, poi perfezionato e denominato PQ4R, acronimo delle 6 fasi in cui si articola: scorrere il testo (preview), porsi delle domande (questions), leggere (read), riflettere sui contenuti, (reflect), ripetere oralmente (recite), ripassare il tutto (review). Tuttavia, i metodi di studio sono stati insegnati nel modo tradizionale, direttivo, attraverso un esperto che li illustrava, confidando nella costanza dello studente nell’applicarli fino ad automatizzarli.
Benché, di per sé, essi possano risultare efficaci, dunque aiutare effettivamente lo studente a organizzare lo studio autonomo, non hanno sortito risultati incoraggianti, né duraturi. Anzi, tali metodi hanno presentato vari limiti: il “transfert”, ossia la difficoltà nel generalizzarli a tutte le materie, al di fuori dei contesti e dei contenuti su cui sono stati applicati inizialmente, e la “decadenza”, in quanto dopo un iniziale ed entusiastica adesione, venivano inesorabilmente abbandonati, per tornare alle vecchie abitudini di studio, dispendiose quanto radicate.
Inoltre, il fatto di dover eseguire meccanicamente una procedura veniva percepito dagli studenti come un carico ulteriore, che appesantiva invece di alleggerire l’apprendimento. Questi metodi comunicano poi implicitamente un concetto disfunzionale dell’apprendimento, presupponendo che possa esserci una strategia standard valida sempre e comunque, applicabile a tutti i contesti e contenuti, ignorando le diverse operazioni richieste dalle varie materie nelle varie fasi del percorso di apprendimento, non rispettando le modalità preferenziali di studiare (tempi, luoghi, modalità), non valorizzando le attitudini personali. Essi risultavano dunque un’imposizione dall’alto, al pari dei contenuti, perciò venivano percepiti come limitanti e costrittivi, invece di essere considerati una facilitazione.
Limiti
La metacognizione non agisce isolatamente, ma coordina e interagisce con altri fattori cognitivi, oltre che con le funzioni esecutive quali, ad esempio, la memoria di lavoro. Di conseguenza, in alcuni casi le difficoltà di apprendimento possono essere dovute non a un deficit metacognitivo, ma a una compromissione parziale o significativa di alcune abilità cognitive. Affinché sia possibile stabilire il processo di apprendimento più indicato per lo studente, sarebbe opportuno estendere l’analisi anche ad altre funzioni e abilità.
Occorre inoltre considerare come la metacognizione sia stata descritta in un’epoca in cui lo studio avveniva ancora a partire da strumenti analogici come libri e quaderni. Oggi molti studenti apprendono avvalendosi di strumenti digitali e occorrono ulteriori studi per comprendere in che modo le nuove tecnologie influenzano lo sviluppo delle abilità metacognitive e il loro impiego nel processo di apprendimento.
Infine, il ricorso alla metacognizione potrebbe non essere generalizzabile a priori, ma potrebbe anch’esso variare in base allo specifico dominio, ovvero alla materia o alla disciplina di studio. Una stessa persona potrebbe ricorrere alla metacognizione nell’apprendimento di una determinata materia, prediligendo altre strategie con materie differenti.
Strumenti
La Metacognizione può essere valutata con strumenti, colloquio e osservazione. Uno strumento utile è il Questionario Metacognitivo sul Metodo di Studio (QMS) curato da Cornoldi, De Beni e dal Gruppo MT di Padova (2015). Si tratta di un questionario di più di 100 affermazioni. Per ogni affermazione, la persona esprime il suo grado di accordo: Molto, Abbastanza, Poco. Non esistono risposte giuste o sbagliate, perché il risultato dei dati ottenuti dalla compilazione serve a delineare un quadro globale del funzionamento cognitivo e della metacognizione della persona, per tracciare un punto di partenza (una baseline), in vista di un percorso di miglioramento. Le affermazioni si riferiscono a diversi aspetti della metacognizione, sia cognitivi che emotivi, soprattutto in riferimento al contesto scolastico.
Per quanto riguarda il colloquio, attraverso di esso, è possibile ricostruire le modalità di apprendimento della persona, con domande che cerchino di comprendere la consapevolezza della persona riguardo al proprio funzionamento, il possesso di strategie, la percezione di efficacia. Per quanto riguarda l’osservazione, sia osservando la persona mentre svolge un compito cognitivo, sia rilevando il linguaggio non verbale, è possibile arricchire la valutazione con altri dati per chiarire il suo livello di metacognizione.
Ambiti applicativi: dalla teoria alla pratica
La teoria sulla Metacognizione può essere applicata in diversi ambiti, ad esempio nella Psicologia dello sviluppo e nella Psicologia scolastica, per strutturare un percorso di empowerment per bambini, adolescenti e giovani; nell’ambito della Psicologia Clinica, per aiutare pazienti con deficit metacognitivi, che li rendono impulsivi; nell’ambito della Psicologia del benessere, per persone che intendano migliorare le prestazioni cognitive; nell’ambito della Psicologia del lavoro, per la formazione di manager, dipendenti, collaboratori o liberi professionisti in settori consulenziali, dove sono importanti le abilità di elaborazione delle informazioni.
Le attività possono ricalcare la suddivisione della metacognizione in 4 componenti effettuata da Ashman e Conway, con altrettanti obiettivi: 1) trasmettere conoscenze utili a chiarire il funzionamento cognitivo; 2) aumentare la consapevolezza delle differenze individuali; 3) ampliare il repertorio di strategie; 4) sostenere l’elaborazione delle emozioni.
La prima attività può consistere in seminari in cui lo psicologo trasmette conoscenze utili a chiarire il funzionamento cognitivo. Lo psicologo, insieme a un esperto, può organizzare seminari in cui illustra il funzionamento dei processi cognitivi specifici, per accrescere le conoscenze dei partecipanti, mostrando anche slide o filmati.
La seconda attività può prevedere un confronto per aumentare la consapevolezza delle differenze individuali nel funzionamento cognitivo. Lo psicologo può organizzare un gruppo di confronto per procedere oltre il possesso di conoscenze astratte e stimolare la riflessione sulle differenze individuali.
La terza attività può consistere in un corso di formazione per ampliare il repertorio di strategie. Lo psicologo, insieme a un formatore, può organizzare un corso per apprendere strategie per migliorare il proprio funzionamento cognitivo, emotivo o sociale.
La quarta attività può consistere in incontri individuali per sostenere l’elaborazione delle emozioni. Lo psicologo può predisporre un colloquio per ogni partecipante, per offrire uno spazio in cui elaborare le sue emozioni, per esplorare i vissuti e chiarire le motivazioni, quindi gli aspetti emotivi che intervengono in ogni comportamento ed emergono in presenza di problemi.
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