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L’invecchiamento di successo si configura soprattutto come una dimensione psicologica.


L’invecchiamento, dunque, non è rilevabile solo ed esclusivamente da indicatori materiali di agio, ma risiede soprattutto in un benessere “percepito”, basato sulla sensazione di autoefficacia, di competenza e di efficienza che persiste nonostante non possa esprimersi più direttamente in ambito professionale.

Per esprimere un invecchiamento riuscito, in ambito psicologico si utilizzano diverse espressioni: invecchiamento produttivo, active aging, productive aging.

Si utilizza il verbo to age poiché si sottolinea il ruolo attivo che l’anziano continua ad assumere anche dopo l’uscita dal contesto lavorativo: si tratta di soggetti che svolgono volontariato, assistenza, aiuto a familiari, vicini di casa, malati.

Dunque, pur non prevedendo una retribuzione, sono attività che sviluppano la percezione di competenza e di stima di sé, dimensioni di natura affettiva, motivazionale e cognitiva, componenti del benessere psicologico.

Dunque questo tipo di esperienza può produrre percezione di sé positive, che contrastano con la sensazione di perdita e di mancanza di obiettivi.

Quanto ai dati statistici, il Censis ha compiuto un’indagine nel 2005 tra gli ultrasessantenni italiani per rilevare le caratteristiche di un buon invecchiamento: una fonte di soddisfazione può essere il rapporto con i nipoti, l’aprirsi alle relazioni con gli altri frequentando circoli, tenere allenata la mente leggendo libri e giornali, fare gite, coltivare un hobby per riqualificarsi e sentirsi creativi.

Si è visto nel precedente paragrafo come nell’invecchiamento sia possibile configurare una nuova identità basata sul senso di efficacia e di autostima, generato da esperienze ed attività di utilità sociale, che valorizzano le risorse affettive dell’anziano.

Ora si cercherà di delineare anche una struttura di personalità che contrasta con il senso di fallimento che può svilupparsi in età senile.

La personalità è un «sistema di caratteristiche, attitudini ed esperienze», dunque non è riconducibile ad una misura unitaria come per i processi cognitivi.

È stata effettuata da Smith e Baltes (1993) una ricerca su un campione di anziani, per valutare le autodefinizioni del Sé più o meno adattive.

Gli anziani hanno fornito immagini positive, fornendo scenari variegati di possibili Sé futuri, dichiarando di sentirsi psicologicamente più giovani, di essere aperti a nuove esperienze e di intrattenere relazioni positive con gli altri.

I risultati contrastano con gli stereotipi, sono stati confermati da altri studi del settori, dunque non sono stati interpretati come risposte difensive di negazione, ma come autentica espressione positiva della propria immagine.

Nel precedente paragrafo si è discusso di come alcuni studi rivelino risorse e autodefinzioni positive degli anziani, soprattutto riferentisi all’ambito affettivo.

In particolare, una delle dimensioni più strategiche per sviluppare la competenza adattiva, requisito psicologico per il benessere negli anziani, è lo stile di coping: esso rappresenta la modalità di affrontare gli eventi, dunque illustra le funzionalità di tipo non cognitivo che distinguono un invecchiamento di successo.

Il coping si colloca infatti nel più ampio scenario dell’adattamento, dato dalla percezione di una situazione come stressante, ma risolvibile, e dalla consapevolezza dei propri mezzi per affrontarla.

I copers  più efficaci si caratterizzano per alcune risorse interne: estroversione, forza interiore (hardiness), locus of control interno, e adottano strategie di soluzione centrate sul problema, invece i cattivi copers percepiscono lo stress come incombente, attuano strategie non adattive come lamentele somatiche e senso di inadeguatezza.

La competenza adattiva, di cui un elemento centrale è lo stile di coping, è influenzata dalla percezione di sé e delle proprie risorse ed è modificabile dalle esperienze.

Dunque cimentandosi in compiti che valorizzino l’affettività, l’anziano può sviluppare una percezione di autoefficacia che contribuisce a spostare all’interno il locus of control e a delineare un’immagine positiva di sé, nonostante le difficoltà dell’invecchiamento.

I fattori che espongono gli anziani al rischio di disturbi affettivi si configurano come una serie di perdite, di natura biologica, psicologica e sociale.

Innanzitutto, l’invecchiamento comporta una degenerazione dei tessuti cellulari e cerebrali: in quest’ultimo caso comporta una diminuzione delle arborizzazioni dendridiche, una meno frequente creazione di sinapsi tra neurone e neurone, una riduzione della mielinizzazione degli assoni.

Il tutto si concretizza in una minore efficienza nella trasmissione e nell’elaborazione delle informazioni.

A questo proposito è stato utilizzata spesso la metafora del computer ormai vecchio, che lavora lentamente e con scarse funzionalità.

I danni al cervello si ripercuotono anche sull’energia, sull’efficienza e sulle potenzialità dell’intero organismo, dunque l’anziano risulta meno resistente allo sforzo fisico, meno accurato nell’esecuzione di compiti, specie quelli che richiedono velocità, più vulnerabile alle malattie.

La perdita della salute determina anche l’ingresso nel sistema sanitario, dove l’anziano assume il ruolo di paziente, spesso ospedalizzato, con sensazioni di dipendenza, di perdita di autonomia, di soggezione di fronte all’autorità del medico che prescrive medicine o si esprime in termini tecnici e incomprensibili, accrescendo la sensazione di essere un oggetto affidato alla cura altrui.

I controlli sulla salute diventano frequenti, quindi l’anziano deve sottoporsi continuamente a visite ed esami spesso invasivi, seguire il regime alimentare prescritto, assumere diversi farmaci.

Tutto ciò può costituite un fattore di stress ed abbassare la percezione di autoefficacia, in quanto le prescrizioni, le ricette, le limitazioni da osservare confermano continuamente all’anziano l’immagine di un sé debilitato e inefficiente.

Nella maturità e vecchiaia, dai quaranta anni in poi, secondo Erik Erikson l’uomo è posto di fronte a due alternative: integrità dell’Io contro disperazione.

Il tempo e le energie rimanenti sono minori di quelle già spese, per cui viene a diminuire la progettualità a favore di riflessioni sul passato e bilanci.

Se non si giunge all’accettazione della propria vita e delle scelte compiute, può scaturire senso di disperazione, accentuato dalla paura della morte.

Infatti, l’età senile coincide con il ritiro dall’attività lavorativa, che può suscitare senso di vuoto e richiede una riorganizzazione totale della propria giornata: vengono a mancare routine stabilizzate da lungo tempo, contatti sociali e opportunità di sentirsi produttivi.

Ciò costituisce uno stress nell’attuale società basata sulla produttività e sul consumo: all’anziano vengono a mancare dunque due elementi che strutturavano la sua identità, cioè l’immagine corporea e lo status sociale conferito dalla professione.

Si riduce il suo ruolo sociale e familiare e si dilata il tempo libero: la giornata, prima freneticamente occupata da attività lavorative e frequentazioni sociali, diventa improvvisamente vuota e si ha difficoltà a riempirla, poiché la precedente professione spesso assorbiva tutto il tempo disponibile, senza concedere la possibilità di coltivare che possano compensare il vuoto.

Per quanto riguarda le variabili sociali, che pongono l’anziano a rischio di strutturare un disturbo dell’umore, vi è innanzitutto il pensionamento.

Esso costituisce anche un problema economico e comporta un maggior controllo delle spese, che vengono ad essere unicamente rivolte a beni alimentari ed assistenza medica, precludendo la possibilità di coltivare hobby e concedersi gratificazioni, per cui si chiude l’accesso ad esperienze potenzialmente creative che possano compensare il ritiro dalle attività produttive.

Le occasioni di contatto sociale si riducono poiché l’anziano vive ripetutamente esperienze di lutto e di perdita di persone che frequentava, divenute anziane o ammalate.

La riduzione della rete sociale è fonte di solitudine reale (l’essere soli) e di quella psicologica (il sentirsi soli).

Le difficoltà emotive e sociali, l’essere ancorati al passato e avere difficoltà ad aggiornarsi e ad accettare i costumi e i valori delle generazioni più giovani, generano senso di inadeguatezza, sfiducia e disadattamento.

A ciò può seguire il rifugio nei valori religiosi, le cui pratiche danno una nuova scansione alle giornate e infondono speranza, modulando la paura e il pensiero ricorrente della morte.

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Sono Stella Di Giorgio, psicologa e tutor per studenti lavoratori di Psicologia e TFA. Scrivimi a tutor@110elode.net per aiuto tesi.