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Vediamo in cosa consistono questi due importanti concetti della psicoanalisi junghiana.


Originariamente, nella concettualizzazione di Freud, l’inconscio aveva carattere personale e intrapsichico: esso costituiva il risultato dell’interazione tra le diverse istanze della psiche nel corso dello sviluppo infantile.

La concezione di inconscio collettivo emerse quando Jung constatò come l’inconscio individuale, così come teorizzato da Freud, non risultasse sufficiente a comprendere i conflitti dell’età infantile o adulta o alcuni fenomeni psichici.

Tra questi fenomeni vi sono, ad esempio, i sogni, i cui significati sembravano prescindere dalla storia personale e rinviare ad un patrimonio universale e condiviso di vissuti, situazioni, esperienze e rappresentazioni.

Questi vissuti, secondo Jung, costituiscono appunto l’”inconscio collettivo”.

Gli archetipi sono invece strutture psichiche basilari, universali, ataviche ed ereditarie, contenute nell’inconscio collettivo, una sorta di “memoria della specie” con immagini primitive e profonde.

Essa rappresenta un vissuto emotivo intenso e originario, comune a molte persone indipendentemente dal loro livello di istruzione, come se appartenesse ad un repertorio di sensazioni ed emozioni provate da tutti.

L’immagine archetipica serve a conferire una forma esteriore e visibile ad un vissuto interiore universale e inconscio, che può diventare cosciente attraverso un percorso di riflessione su di sé e di rielaborazione della propria storia.

Un esempio di archetipo è quello della “Grande Madre”, che contiene una natura positiva e negativa, rappresentata dalle figure della “madre amorosa”, che offre protezione e nutrimento, e della “madre terribile”, che annienta le sue creature.

La Grande Madre è anche simbolo di continuo sviluppo, poiché dal contenimento e dalla fertilità della madre si generano altre creature a loro volta destinate a perpetuare il rinnovamento.

Un’altra simbologia connessa alla Grande Madre è quella del vaso, a cui viene assimilato il corpo della donna, rappresentato come una cavità contenente qualcosa di potenzialmente fecondo, ma anche temibile, poiché dota la donna di un potere divino escluso all’uomo, cioè del potere di creare una vita al suo interno.

Gli archetipi trovano struttura nei miti condivisi da diverse culture, che secondo alcuni autori junghiani, come Hillman, trovano nuova veste attraverso i miti moderni e contemporanei.

 

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Sono Stella Di Giorgio, psicologa e tutor per studenti lavoratori di Psicologia e TFA. Scrivimi a tutor@110elode.net per aiuto tesi.