All’interno di prove, esami e concorsi di argomento psicologico, può uscire questo tema: “confronta il comportamentismo e il cognitivismo”. Ecco alcune indicazioni per svolgerlo, evitando rischi.
Il tema sul confronto tra comportamentismo e cognitivismo suscitò polemiche e perplessità, a causa dell’annosa questione della differenza tra psicologi e psicoterapeuti.
Infatti, secondo alcune persone, comportamentismo e cognitivismo sono approcci psicoterapeutici.
Quindi non dovrebbero essere richieste ad un esame di abilitazione in psicologia.
Secondo altre persone, sono due modelli teorici che spiegano i comportamento umano e che trovano applicazione in diversi ambiti, come quello educativo e sociale.
Quindi non sono di esclusiva pertinenza dello psicologo o dello psicoterapeuta.
Come prima cosa importante, per capire meglio come svolgere questo tema senza irritare nessuno, occorre considerare che in una commissione possono convivere due tipologie di commissari.
Alcuni commissari possono essere psicoterapeuti “vecchio stampo”, provenienti da una cultura che appiattiva lo psicologo sullo psicoterapeuta e non concepiva uno psicologo non psicoterapeuta.
Altri sono psicologi più moderni che ci tengono a distinguere lo psicologo dallo psicoterapeuta.
Culturalmente, questa distinzione è una conquista recente, non ancora così diffusa nell’ambito accademico, spesso aggrappato a una concezione clinica della professione.
Sui social network e sul mercato libero è quasi un’ovvietà e ne se parla tutti i giorni. Invece, l’ambito accademico è sempre un po’ ovattato, autoreferenziale, impermeabile ai cambiamenti sociali ed esterni.
Non si sa quanto sia “aggiornato” il commissario che corregge il tuo compito.
Potrebbe essere un prof vecchio stampo, che vuole riferimenti ad approcci psicoterapeutici, perché lui stesso appartiene a quel tipo di cultura. Per lui parlare di comportamentismo e cognitivismo significa confrontare due approcci psicoterapeutici.
Invece, il commissario che corregge il tuo compito potrebbe essere un prof più moderno che non vuole riferimenti ad approcci psicoterapeutici. Per lui, il confronto tra comportamentismo e cognitivismo è un normale confronto tra queste teorie, perché tali sono.
E poi ci sono altri prof del tutto indifferenti.
D’altronde, comportamentismo e cognitivismo nascono come teorie, non come approcci psicoterapeutici.
Sono modelli che provano a spiegare come funziona la mente e il comportamento. In quanto tali, ogni professionista può utilizzarli con diversi scopi.
E’ vero che per effetto del condizionamento, “comportamentismo” evoca un approccio psicoterapeutico, ma appunto è un effetto del condizionamento che abbiamo subìto all’università.
Il comportamentismo nasce come teoria del comportamento, non come riferimento o strumento esclusivo degli psicoterapeuti comportamentisti.
In più, comportamentismo e cognitivismo nascono in contesti di lingua anglosassone, dove la distinzione tra psicologo e psicoterapeuta è totalmente diversa da quella italiana.
Anche le tecniche, ad esempio il rinforzo differenziale per modificare i comportamenti inefficaci, desunte da quelle teorie, sono (inevitabilmente) applicate in molti ambiti, non solo in psicoterapia.
Esse sono applicabili anche a scuola dagli insegnanti: è giusto, anzi doveroso, che l’insegnante premi i comportamenti efficaci, piuttosto che punire quelli inefficaci.
Non è esclusivo degli psicoterapeuti ragionare così.
E non si commette abuso premiando gli studenti che lo meritano!
Le tecniche di rinforzo sono applicate persino dagli educatori cinofili per l’addestramento dei cani. Per insegnare al cane a non fare la pipì sul tappeto, si usa il rinforzo differenziale.
Non per questo l’educatore cinofilo è passibile di abuso della professione di psicoterapeuta..
Quindi quelle sono teorie, che poi hanno consentito di desumere interventi in vari ambiti anche non clinici.
Le teorie servono a quello: sono modelli per leggere la realtà e intervenire per migliorarla.
Il fatto che gli psicoterapeuti di approccio cognitivo-comportamentale le usino nel setting psicoterapeutico, non vuol dire che siano di loro esclusiva proprietà.
Anzi, più che di psicoterapeuti cognitivo-comportamentali in assoluto, bisognerebbe precisare “i “professionisti che in Italia possiedono i criteri per definirsi psicoterapeuti secondo le regole italiane”, perché sono regole molto diverse da quelle vigenti in altri paesi.
Non possiamo giudicare teorie e applicazioni nate in contesti anglosassoni con schemi giuridici italiani ;).
Lo stesso vale per le teorie della famiglia: sono utilizzate da psicoterapeuti sistemici, ma sono di loro esclusiva pertinenza. Esse nascono come teorie della famiglia.
Quindi, cognitivismo, comportamentismo e teorie della famiglia sono innanzitutto teorie che descrivono il funzionamento psicologico e relazionale, ancor prima di essere elementi costitutivi di approcci psicoterapeutici.
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