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Teorie sui sogni in Psicologia

Il sogno, dal punto di vista psicologico e clinico, è stato approfondito dapprima entro la psicoanalisi di Freud (1899; 1938), dove esso era considerato espressione camuffata di bisogni inespressi o rimossi.

Successivamente il sogno venne associato a significati simbolici e archetipici da Jung (1916; 1948).

Infine, esso venne considerato depositario di creatività che la vita quotidiana, prevalentemente razionale, non valorizza (Perls (1969; 1973).

In queste teorie, il sogno è ritenuto principalmente espressione della dimensione intrapsichica.

In seguito, con Lawrence (1998), l’interpretazione del sogno diventa un’attività interpersonale, svolta da un gruppo di persone che insieme elaborano un significato utile alla crescita del gruppo stesso.

Nonostante questa accentuazione degli aspetti interpersonali, anche in Lawrence (1998) il sogno resta un’attività non sottoposta a verifica empirica.

Studi scientifici sui sui sogni

Più di recente, però, anche per quanto riguarda lo studio del sogno, si è assistito alla progressiva diffusione del metodo sperimentale, con l’affermarsi di altri approcci oltre a quelli gestaltico-analitici e con il progredire delle dotazioni tecnologiche.

In questo modo, si è configurato un contesto scientifico, psicologico e clinico che ha portato allo studio dei sogni da un punto di vista non soltanto teorico e clinico, ma anche sperimentale.

Negli ultimi venti anni circa, sono state quindi effettuate ricerche empiriche che utilizzano strumenti quali l’elettroencefalogramma, la risonanza magnetica funzionale, la tomografia ad emissione di positroni e il polisonnigrafo.

Quest’ultimo consente di registrare le fasi del sonno, distinguendo il sonno REM (acronimo di Rapid Eye Movement, perché in questa fase sono osservabili rapidi movimenti oculari sotto le palpebre) e sonno non-REM.

Inoltre, utilizzando questo strumento, è stato possibile registrare vari parametri fisiologici come l’attività elettrica cerebrale, i movimenti oculari e l’attività dei muscoli.

I tracciati forniti dai ricercatori hanno consentito di evidenziare come nel sonno il cervello non sia a riposo, ma sia caratterizzato dall’attivazione di aree coinvolte per le emozioni, aree della corteccia visiva e processi di memoria o l’apprendimento funzionali al consolidamento delle tracce e alla loro integrazione con memorie preesistenti.

A cosa servono i sogni: a proteggere il sonno, ma anche il sonno serve a proteggere i sogni

Dunque, questi studi hanno consentito di rovesciare il tradizionale rapporto tra sonno e sogno, così come considerato dai teorici della psicoanalisi classica, secondo i quali il sogno serve a proteggere il sonno.

Sarebbe il sonno a proteggere il sogno e il sogno a  partecipare all’elaborazione degli stimoli diurni, per metabolizzarli e assimilarli.

Recentemente, sono state formulate anche nuove teorie sul sogno, come quella di Hobson (2009), che distingue in particolare tra due tipi di coscienza: coscienza primaria e coscienza secondaria.

La coscienza primaria è uno stato di consapevolezza di base che include la percezione e l’emozione.

La coscienza secondaria dipende dal linguaggio e consiste nella riflessione su emozioni, pensieri, esperienze e situazioni.

Nella fase REM, sono presenti caratteristiche della coscienza primaria, forse per questo i sogni in questa fase sono vividi e intensi e derivano dall’attivazione di circuiti neuronali connessi alle emozioni.

Nel racconto del sogno effettuato dal sognatore, una volta sveglio, prevale la coscienza secondaria, l’elaborazione dei significati e i processi cognitivi rispetto a quelli emotivi, analogamente a quanto sosteneva Freud (1899) con l’espressione “lavoro onirico”.

Le teorie attuali sul sogno, come quella di Hobson (2009), infatti, non rendono obsolete le teorie psicodinamiche classiche, anzi le valorizzano, integrandole con le ricerche empiriche sul sonno e sulla coscienza.

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Sono Stella Di Giorgio, psicologa e tutor per studenti lavoratori di Psicologia e TFA. Scrivimi a tutor@110elode.net per aiuto tesi.