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Riassunto dell’intelligenza e dei cambiamenti che questo costrutto ha subìto nel tempo. 


In ambito scientifico e psicologico, la concezione di intelligenza si è evoluta nel tempo, da una originaria concezione statica, quantitativa, cognitiva e generale a una moderna concezione qualitativa, specifica, modulare.

L’intelligenza è solo ad un’abilità intellettiva generale, ma è una competenza cognitiva complessa, connessa con componenti sociali, emotive, pratiche, che consente di eseguire operazioni mentali sofisticate, elaborando, integrando e organizzando dati.

La prima definizione scientifica di intelligenza è stata formulata da Spearman nel 1923, che considerava l’intelligenza come un “fattore g”, cioè una capacità generale, astratta, non specifica, al di sopra di altre abilità più specifiche e poteva essere misurata attraverso test di Logica.

Proprio questa misurabilità rendeva scientifica questa definizione di intelligenza. La teoria di Spearman è definita “teoria monofattoriale” , poiché riconduce l’intelligenza ad un’unica dimensione omogenea.

Invece, la teoria successiva, di Thurstone, ipotizza 7 abilità primarie: anche se questa teoria aumenta il numero di abilità considerate primarie, la loro natura rimane prevalentemente logica e razionale, come se tali abilità in realtà fossero una specificazione del fattore G di Spearman. Non c’è ancora posto per le qualità di tipo emotivo, corporeo, pratico.

Una successiva teoria moltiplica ulteriormente le abilità: si tratta della teoria multifattoriale di Guilford, che differenzia ed elenca 120 abilità primarie, autonome tra di loro, che scaturiscono dall’interazione tra tre variabili: operazioni, contenuti, prodotti.

Poi, Cattell distinse tra intelligenza fluida e cristallizzata.

L’intelligenza fluida è la componente strutturale e funzionale “innata” dell’intelligenza, cioè la capacità di cogliere relazioni tra elementi, di ordinare, di percepire, indipendentemente da un addestramento e da un apprendimento precedente.

L’intelligenza cristallizzata è un’abilità mentale che scaturisce dall’esperienza e include conoscenze, abilità, comportamenti che sono stati appresi nella vita, assimilati e diventano parte del patrimonio personale.

Infine, nel 1985, Sternberg formula la “teoria triarchia”, distinguendo tre dimensioni dell’intelligenza: contestuale, empirica, componenziale.

Oggi, l’intelligenza è considerata modulare: la teoria modulare della mente è stata formulata in ambito filosofico da Fodor nel 1983,  ma è stata validata anche in ambito neuropsicologico.

Infatti, sstudi sulla struttura e sulle funzioni del cervello sembrano documentare la presenza di specifici “moduli” nel cervello, cioè aree e funzioni relativamente indipendenti dagli altri.

Un’applicazione della teoria modulare è la teoria delle 7 Intelligenze di Gardner, che riprende il numero 7 da Thurstone, ma elenca abilità modulari di diversa natura, non solo cognitiva.

Una tipologia di intelligenza attualmente molto studiata è l’Intelligenza Emotiva, formulata da Salovey e Mayer nel 1990 e divulgata da Goleman. Consiste nella capacità di riconoscere e regolare le proprie emozioni, di motivarsi, di essere empatici.

Uno storico autore che unì teoria sull’intelligenza e strumenti psicometrici per misurarla fu il francese Binet.

Nel 1905, su commissione delle autorità scolastiche francesi, realizzò il primo reattivo di intelligenza per “differenziare” i bambini e indicare tra loro chi avrebbe avuto bisogno di un insegnamento di sostegno.

Binet elaborò così una scala dell’età cronologica e associò, ad ogni età, una serie di prove che generalmente i bambini di quell’età riuscivano a risolvere.

Infatti, un bambino intelligente, nelle prove di Binet, era un bambino che risolveva correttamente le prove mediamente risolte dai bambini della sua età, risolveva molto bene le prove tipiche delle età inferiori e non poteva risolvere le prove di un’età superiore.

I bambini che invece non risolvevano compiti in cui mediamente riuscivano bene i suoi coetanei, venivano classificati come “ritardati”.

L’americano Stern, su queste premesse, fondò il concetto di Quoziente intellettivo, cioè Q.I.: il Q.I. è il rapporto tra età mentale ed età cronologica moltiplicato per 100. Quini Q.I = E.M / E.C x 100.

Venne poi realizzata una scala per misurare il QI, la scala di Stanford-Binet, utilizzata in America, tarata in base ad un campione di standardizzazione estratto tra la popolazione americana e ritarata nel 1937, 60, 72.

Tarare un test vuol dire selezionare un campione rappresentativo di una popolazione (“campione di standardizzazione”), in questo caso americana, somministrare il test e organizzare una scala di intelligenza in base al punteggio medio ottenuto da questo campione, che diventa il punteggio di riferimento.

Ogni volta che si fa un test di intelligenza, quindi, non viene calcolato il proprio punteggio in assoluto, ma viene confrontata la propria prestazione con la prestazione media del campione di riferimento usato per la standardizzazione.

I test di intelligenza misurano quindi il rendimento solo in compiti specifici che richiedono abilità logiche diverse da quelle richieste dalla vita quotidiana e dai problemi aperti che pone una società complessa, e infine hanno un’elevata relatività culturale, perché il risultato è sempre relativo alla cultura di appartenenza e alla generazione di appartenenza.

Quando si sottopone un bambino o un adulto a un test di intelligenza, occorre conoscere il campione di standardizzazione, altrimenti si rischia di rendere ancora più inattendibile il test.

Oggi il QI non è una misura totalmente affidabile, proprio per i limiti dovuti ai test che lo misurano e alla concezione stessa di intelligenza, che è cambiata.

Attualmente, il test di intelligenza più usato è la WAIS (Weschler Adult Inelligence Scale) per gli adulti, con media 100 e deviazione standard 15.

Ciò vuol dire che un soggetto con un’intelligenza media (cioè con capacità di comprensione verbale, ragionamento logico e matematico nella media) ottiene un punteggio compreso tra 100 più o meno 15, cioè tra 85 e 115.

In realtà, spesso si tende ad ottenere punteggi molto più elevati (“effetto tetto”) o molto bassi (“effetto pavimento”) poiché gli item dei test o sono troppo facili in quanto l’istruzione media si è elevata, oppure troppo difficili poiché riguardano contenuti ormai obsoleti, culturalmente sorpassati.

Di questo test, esiste anche una versione per bambini, la WISC (Weschler Intelligence Scale Children) e una versione per bambini prescolari, la WIPPSI (Weschler Intelligence Prescolar Scale Intelligence).

Questi test contengono diverse scale, Scala verbale e Scala di Perfomance, poiché includono due tipologie di quesiti: logici, matematici e verbali oppure “pratici” (ordinamento di figure, assemblaggio di pezzi, composizione con cubetti).

Si possono ottenere anche due sotto-punteggi, uno per ciascuna delle sue scale.

Generalmente, però, i due sotto-punteggi sono simili, se invece c’è grande differenza tra le due scale si può sospettare una difficoltà intellettiva o comportamentale.

Questi test risentono però dell’istruzione, della cultura e della conoscenza della lingua, per questo sono stati formulati anche test “culture free”, che contengono prove logiche “pure”, dove l’influenza di fattori culturali come il grado di istruzione sono ridotti al minimo.

Il test culture free più utilizzato e conosciuto sono le Matrici di Raven,  una sorta di “puzzle” a difficoltà crescente, dove manca un tassello e il soggetto deve individuare, tra quelli proposti, quale completi la figura, che in genere è costituita da segni geometrici.

Esiste anche una versione per bambini, le Matrici Progressive Colorate. Oltre al Raven, un altro test culture free è il Culture Free Test Intelligence di Cattell.

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Sono Stella Di Giorgio, psicologa e tutor per studenti lavoratori di Psicologia e TFA. Scrivimi a tutor@110elode.net per aiuto tesi.